Si associa usualmente l’ articolo 18 alla libertà di licenziamento. Come se l’ annullamento potesse risolvere tutti i problemi del lavoro.
Art. 18.
(Reintegrazione nel posto di lavoro)Ferma restando l’esperibilita’ delle procedure previste
dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con
la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi
dell’articolo 2 della legge predetta o annulla il licenziamento
intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara
la nullita’ a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di
reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il
licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o
l’invalidita’ a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura
del risarcimento non potra’ essere inferiore a cinque mensilita’ di
retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all’articolo 2121
del codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla
sentenza di cui al comma precedente e’ tenuto inoltre a corrispondere
al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtu’ del rapporto di
lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della
reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento
dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il
rapporto si intende risolto.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma e’
provvisoriamente esecutiva.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo
22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi
aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del
giudizio di merito, puo’ disporre con ordinanza, quando ritenga
irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore
di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L’ordinanza di cui al comma precedente puo’ essere impugnata con
reclamo immediato al giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si
applicano le disposizioni dell’articolo 178, terzo, quarto, quinto e
sesto comma del codice di procedura civile.
L’ordinanza puo’ essere revocata con la sentenza che decide la
causa.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo
22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al
primo comma ovvero all’ordinanza di cui al quarto comma, non
impugnata o confermata dal giudice che l’ha pronunciata, e’ tenuto
anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo
adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione
dovuta al lavoratore.
L’ articolo 18 è una norma di civiltà. Ogni licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo è illegittimo. Una norma contro l’ arbitrio e per la civiltà.
Semmai il problema è chiarire esattamente cosa è giusta causa o giustificato motivo, a tutela del lavoratore, ma anche dell’ impresa e quindi alla fine del lavoro.
Non vorremmo entrare in tecnicismi sulla norma. In questo articolo però si vorrebbe trattare un aspetto importante che ha attinenza con il rapporto fra microeconomia e macroeconomia.
Dal punto di vista microeconomico, il licenziamento ha una valenza orientata al rafforzamento dell’impresa. Le cause di un licenziamento possono essere diverse. Economiche, di arbitrio, di fiducia, di giudizio sulle capacità. In tutti questi casi, valutato dal punto di vista microeconomico, la possibilità di licenziare, aumenta le opportunità di lavoro perché l’impresa è portata ad assumere maggiormente per rispondere ad esigenze di produzione. Il sistema americano (liberta ampia di licenziare) e molti altri istituti libertari, prevedono per esempio il reintegro per licenziamento illegittimo. Ma la libertà porta una entrata più rapida nelle crisi, ma anche una uscita altrettanto rapida, in quanto le aziende sono tentate di provare a ricrescere, ai primi segnali di ripresa economica.
Dal punto di vista macroeconomico, ogni norma che aumenta l’ insicurezza dei lavoratori è assolutamente depressiva per l’ economia. E’ vero che il sistema americano sembrerebbe smentire questa affermazione. Ma non sembra un caso che le politiche di welfare americane, sono accompagnate da uno sviluppo economico alto e duraturo.
La precarietà uccide lo sviluppo. Le persone sono portate ad accantonare cifre maggiori per garantire un futuro incerto. La libertà di licenziare, analizzato sotto una matrice macroeconomica non giova all’economia.
Allora quale è il giusto compromesso ? L’ articolo 18 entra in questo scenario ?
Il modello più efficace non può che essere conciliare le esigenze di sicurezza individuale, con quelle di una competitività aziendale molto spinta ed ampia.
In questo contesto è una norma di civiltà l’ articolo 18 (contro i licenziamenti discriminatori) ma l’ azienda deve essere libera di licenziare per motivi economici ma anche per insoddisfazione del rapporto basato su criteri di merito.
La collettività deve però garantire che il licenziamento non stravolga la vita dell’ individuo e permetta il reinserimento della persona nel mondo del lavoro.
Flexsecurity insomma.
Massima flessibilità, con il massimo della sicurezza.
La domanda successiva allora è :
perché si parla di altro ? Quali sono i poteri e gli interessi che stanno dietro all’ arroccamento che stiamo vedendo in questi mesi ?
ed intanto fioccano i licenziamenti e i cassaintegrati continuano a drenare risorse senza grosse prospettive di riprendere la via di un lavoro dignitoso.